martedì 31 luglio 2012

Daniel Dyler e le avventure nelle Terre di Mito. II- L'inizio di una straordinaria avventura




«La luce ti ha battuto sul tempo, ma per poco!» esclamò Daniel, udendo il toc toc dell'amico alla sua porta. Era ancora sdraiato nel letto, sotto le coperte, ma con gli occhi già aperti da qualche minuto. Attorno a lui regnava ancora il sacro e delicato silenzio del mattino, in cui ogni piccolo suono, sia esso un fruscio generato dal vento, il drin di un telefono o l'eco di una voce anche lontana, par essere un rumore violento, insopportabile per le orecchie di chi, ancora assonnato, cerca rifugio al di sotto del proprio cuscino. Poco prima aveva tuttavia sentito Jake che parlava con sua madre, al piano di sotto, e si aspettava che l'amico lo avrebbe raggiunto a momenti. «Hey Daniel, tanti auguri!» esclamò Jacob non appena fu entrato nella stanza ancora semibuia, con le finestre chiuse e le tapparelle quasi del tutto abbassate. Daniel ringraziò e, dopo essersi strofinato ben bene gli occhi e aver gettato a terra il cuscino, che al momento del risveglio si era trovato tra le braccia, scattò in piedi. Malgrado fosse il giorno del suo compleanno e si sentisse devvero molto emozionato, per lui alzarsi la mattina presto costituiva sempre e comunque un arduo problema. 

 La scuola iniziava alle nove e, come tutti i giorni sarebbe stato molto difficile arrivare in orario alla prima lezione. «Abbiamo la Forsaidh tra poco più di un quarto d'ora, dobbiamo sbrigarci...» disse Jake, mentre alzava la tapparella, facendo entrare la pallida luce del mattino. «Ma che bella notizia!» esclamò ironico Daniel, che indossava ancora il suo pigiama invernale azzurro con impresso il disegno di Paperino. «Dobbiamo anche pensare ancora alcune cosette per oggi pomeriggio... Stavo pensando di cantare qualcosa, magari utilizzando una base musicale fatta al computer, che dovresti riuscire a procurarmi tu... Sai che mi piace cantare! E piace anche a Jessica... A proposito... Ho saputo che oggi ti chiederà di ballare... Mi raccomando, non fuggire su un altro pianeta adesso che te l'ho detto eh! Calma e sangue freddo! Capito "Iceboy"!» stava proseguendo, con tono sempre più ironico, quando fu interrotto da Jake, che, guardando fuori dalla finestra, notò qualcosa di insolito. «Ehm, ci sono due cavalli nel tuo giardino, due cavalli bianchi...» disse e poi, cominciando a balbettare, «A-alati, ca-cavalli alati, ha-hanno le ali! Daniel, caspita, le ali!». «Hai bevuto birra di prima mattina Jake?» ribatté l'amico. E ancora «O stai facendo una prova di recitazione? Ti riesce bene devo dire, potresti avere un futuro nel cinema!». «Vieni a vedere se non ci credi!» rispose Jacob, in uno stato a metà fra l'incredulità e l'imbarazzo. Il giovane Dyler, a questo punto, si avvicinò alla finestra, che si affacciava sul retro della casa. Non si sarebbe mai aspettato di vedere ciò che effettivamente gli apparve. Nel bel mezzo del giardino innevato vi erano due possenti equini, più bianchi della stessa neve, il cui manto rifletteva persino la luce. Avevano un'ordinata criniera argentea e dalle loro spalle spuntavano delle grandi ali, piumate e del medesimo nobile colore, che giacevano riposte sui loro fianchi muscolosi. «Non credo ai miei occhi...» sussurrò Daniel, fissando quella scena alquanto surreale e mettendo una mano sulla spalla di Jake. Quest'ultimo: «Non dovrebbero esistere i cavalli alati, non è forse vero Daniel?!». L'amico rispose «Beh, i Greci li hanno spesso descritti nei loro miti, tantissimo tempo fa... Lo so che è assurdo anche solo pensarlo, ma forse quegli animali mitologici, ehm, esistono davvero... E in questo momento si trovano nel mio giardino, proprio qui, a Morefield Lane. Ma più probabilmente, amico mio, abbiamo le allucinazioni! A meno che io non stia ancora sognando!». Jacob a questo punto gli diede un pizzicotto, per fargli capire che erano entrambi svegli. Quindi gli rammentò che nessuno dei due aveva assunto alcolici e che non potevano certo esistere le allucinazioni collettive da brezza invernale. 

 «Voglio andare di sotto e toccarle con mano quelle ali d'argento, finché non le tocco, non ci credo!» esclamò Daniel, rivolgendosi poi all'amico con tono ironico, sapendo che era un po' un fifone, «Seguimi, è l'occasione per mostrarmi il tuo coraggio da leone!». Jake annuì e i due scesero in giardino, evitando di farsi notare dalla signora Dyler, che si sarebbe senz'altro chiesta perché suo figlio stesse uscendo in pigiama con quel freddo. Volevano essere sicuri di ciò che avevano visto, che non si fosse trattato solo di una visione. Una volta fuori però i cavalli alati c'erano davvero, lì, nuovamente di fronte ai loro occhi. Daniel procedeva davanti a Jake, andando incontro a quei maestosi animali, sempre più affascinato e con mille pensieri nella testa. «Pegaso, tu devi essere Pegaso!» disse, rivolgendosi a uno dei due. A questo punto il cavallo scosse il capo e, poco dopo, si chinò sulle proprie zampe, abbassandosi, quasi volesse invitare il ragazzo a montare sulla sua schiena. Daniel, che stava letteralmente sognando a occhi aperti, non esitò un solo secondo e con un agile balzo montò sulla groppa del destriero, facendo leva con la mano su di una delle sue ali argentate, le cui piume, al tatto, si rivelarono morbidissime. «Che cavolo stai facendo, sei matto?!» disse Jake, disapprovando il comportamento dell'amico. Non fece praticamente in tempo a ultimare la frase che il cavallo su cui era salito Daniel si alzò in piedi e si mosse, dapprima lentamente e poi iniziando a galoppare velocemente verso la staccionata che cintava il giardino di casa Dyler. Con un gran balzo la saltò e corse via, nei prati innevati, scomparendo in un baleno. Jake era ammutolito, non aveva avuto nemmeno il tempo di reagire, non aveva levato alcun grido, anche se in un solo attimo era stato investito da un grande terrore, quello di perdere Daniel. Si accorse che nel contempo anche il secondo cavallo si era inchinato, come aveva fatto l'altro pochi secondi prima. Vinse ogni tipo di paura e senza esitazione alcuna montò anch'egli sull'animale, ben conscio di quello che sarebbe successo. Aveva un unico pensiero impresso nella mente, raggiungere Daniel. «Non vi permetterò di portarmi via il mio unico amico, qualsiasi cosa voi siate, dannate bestiacce!» urlò, mentre l'enorme equino si rialzava. Anche questo iniziò a trottare, superò agilmente la recinzione e galoppò via, correndo sempre più velocemente. Jake non sapeva dove si stesse dirigendo e ignorava dove fosse andato a finire il cavallo che aveva rapito Daniel. Ma era sicuro che entrambi sarebbero andati nella stessa direzione e questo gli bastava. Non aveva paura. Non ne aveva perché in quei pochi secondi non riusciva a pensare a null'altro che all'amico. Inoltre doveva reggersi forte, affondando le mani nell'argenteo crine. Sentiva molto freddo, ance perchè il corpo dell'animale su cui era adagiato non emanava alcun tepore, quasi fosse privo di vita. A un certo punto, quando ormai non distingueva più nulla del paesaggio che gli scorreva attorno, a causa della sempre più elevata velocità del galoppo, il giovane ragazzo dagli occhi di ghiaccio perse i sensi, abbandonandosi a un destino ignoto e misterioso. 

 Per Daniel e Jake questo non fu che l'inizio di una straordinaria avventura.

(M.T.)

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