venerdì 27 luglio 2012

Daniel Dyler e le avventure nelle Terre di Mito. I- Il compleanno di Daniel




 Era una fredda mattinata del mese di dicembre a Ullapool, un paesino costiero con poco più d'un migliaio di abitanti del West Highland scozzese. Da queste parti l'inverno giungeva molto presto e il clima era molto rigido per gran parte dell'anno. Oltre al gelo, dominava il silenzio, mentre le nubi e la nebbia donavano al cielo un colore grigio chiaro che quasi si confondeva con il bianco della neve, dei tetti delle case e dei giardini. Un timido alternarsi di voci proveniva dal piccolo porto, un tempo destinato alla pesca delle aringhe, laddove rompeva la quiete anche il rumore delle onde del mare, sempre parecchio agitato in questo periodo dell'anno. Dovevano essere quasi le nove e, ben nascosto dietro il grigiore delle nubi, era da poco sorto il Sole, dopo ore e ore di tenebre notturne, ancora più fredde e silenziose.

 Si trattava di un giorno molto particolare per i ragazzini di Ullapool, il quinto del mese di dicembre. Ricorreva infatti il compleanno di uno di loro, che si chiamava Daniel Dyler e abitava nell'ultima casa della Morefield Lane, una via piuttosto isolata, nella parte più settentrionale del villaggio. Si trattava del figlio del bibliotecario, Aristoteles Dyler, uomo di straordinaria cultura e molto apprezzato da tutti in quanto estremamete gentile e sempre disponibile ad aiutare gli altri.  Aveva sicuramente letto più libri di tutti i suoi concittadini messi assieme, sebbene non avesse mai voluto portare a termine gli studi universitari, interrotti tanti anni prima. Gli bastava la sua biblioteca, sulla Mill Street, e non avrebbe mai e poi mai lasciato Ullapool. Era un uomo simpatico e molto socievole, tanto che, nonostante fosse ormai vicino alla cinquantina, tutte le sere soleva ritrovarsi al pub, per bere una birra e chiacchierare con gli amici di vecchia data. Tutti sapevano che il signor Dyler adorava organizzare delle feste, come quelle che in estate animavano il paese, nelle quali si potevano mangiare le più tipiche specialità del West Highliand, prevalentemente a base di pesce, nonché bere diversi tipi di birra artigianale scozzese. Proprio perché la maggior parte dei festeggiamenti si dovevano allo spirito d'iniziativa di Aristoteles, il più grande evento della stagione invernale, dopo il Natale e il Capodanno, era proprio il compleanno del suo unico figlio Daniel. Come ogni anno si sarebbe tenuto un grande party a casa Dyler, che sarebbe durato dal primo pomeriggio alla mezzanotte, al quale avrebbero partecipato tutti i giovani del paese. La mamma di Daniel, Victoria, meglio conosciuta come "Vicky", avrebbe come ogni anno fatto tesoro delle proprie origini italiane, cucinando un'ottima pizza per tutti gli invitati. La festa era davvero molto attesa, tanto che da diversi giorni nelle aule del college non si parlava d'altro. I ragazzi volevano renderla ancora più divertente rispetto a quella dell'anno precedente e ognuno esponeva le proprie idee a Daniel. Anche i professori chiudevano un occhio, nonostante il continuo bisbiglio ostacolasse e non poco il corretto svolgimento delle lezioni. Quasi tutti i docenti del college di Ullapool facevano peraltro parte della cerchia degli amici del signor Dyler e sicuramente qualcuno di loro sarebbe passato a Morefield Lane per una birra durante la serata.

 Correva l'anno duemila e Daniel avrebbe spento sedici candeline. Era ovviamente il più eccitato di tutti, poiché sarebbe stato il protagonista della festa e avrebbe ricevuto applausi, cori di auguri e regali. La sensazione che si prova il giorno in cui si compiono gli anni è indubbiamete unica e difficilmente descrivibile. È come se per ventiquattro ore si diventasse proprietari del tempo. Questo era ciò che provava Daniel, al suo risveglio, quella mattina del cinque di dicembre. Era un ragazzo molto sensibile, che non smetteva mai di emozionarsi di fronte a tutto ciò che accadeva intorno a lui. Pur essendo molto vivace, allegro e ottimista, sempre pronto a ridere e scherzare, si dimostrava al contempo molto suscettibile di fronte alla tristezza, a tal punto da percepire come propria anche quella altrui. La sua partecipazione emotiva si traduceva in una percepibile agitazione, nel battito del cuore e nel tremore della voce. Talvolta non riusciva nemmeno a trattenere le lacrime. Quella mattina era tuttavia la felicità a dominare l'animo di Daniel, che aveva appena aperto gli occhi e, ancora sdraiato sul letto, si guardandava attorno, proiettandosi anzitempo, con il pensiero, nei festeggiamenti del pomeriggio. Finalmente aveva sedici anni, ed entrava in quella fascia d'età che, come gli diceva sempre suo padre, "è la più bella di tutta la vita".

 Daniel Dyler aveva ancora il classico volto da bambino, dai lineamenti molto fini, ed era del tutto privo di barba, al contrario di certi suoi compagni di scuola, che già si radevano. Il suo viso era dominato dai due grandi occhi verdi, che risaltavano sulla pelle chiarissima, tipicamente scozzese, se non fosse per l'assenza delle lentiggini. Il naso, leggermente aquilino, era identico a quello della madre Vicky, mentre i suoi capelli erano biondo cenere e molto folti. Una serie di grandi ciuffi coprivano la sua fronte, sino a infrangersi contro le sopracciglia, che erano di un colore leggermente più scuro. Per far sì che la sua voluminosa chioma apparisse un po’ più ordinata ultimamente aveva preso l'abitudine di pettinarsi “con la riga in mezzo”, secondo una moda molto diffusa all'alba del nuovo millennio. Daniel iniziava infatti a sentire l'esigenza di curare maggiormente il proprio aspetto fisico, anche se questo si scontrava con la sua pigrizia. «Per ben apparire si deve anche soffrire!» esclamava sempre Vicky, ridacchiando, quando lo vedeva davanti allo specchio, intento a domare la natura ribelle dei suoi capelli, o a esorcizzare la comparsa dei brufoli cospargendosi di apposite creme a base di succo di limone sulle guance e sulla fronte. Aristoteles invece si rivolgeva a Daniel chiamandolo "Dandy", poiché notava una certa somiglianza del suo nuovo look con quello sfoggiato più di cent'anni prima dallo scrittore inglese Oscar Wilde. Anche il sigor Dyler aveva dei folti capelli biondi, proprio come il figlio, ma da ormai molti anni li teneva assai corti, limitandone la voluminosità. E da tempo incoraggiava Daniel a fare lo stesso, ma senza mai avere successo. Non si può certo dire che i due si somigliassero e non solo per il diverso look adottato. Aristoteles era molto più alto di Daniel, aveva gli occhi azzurri e un volto spigoloso, con gli zigomi particolarmente pronunciati. Tutti in paese sostenevano che il ragazzo fosse la fotocopia della madre, con i colori del padre. Vicky aveva infatti una carnagione mediterranea e i suoi erano capelli lisci e neri, quasi come quelli delle parrucche delle antiche principesse egizie: "Nefertari! La mia Nefertari" le diceva spesso, con tono affettuoso, quel colto bibliotecario che l'aveva presa in sposa.

 Daniel condivideva con suo padre la passione per la letteratura e per la storia, adorava leggere e sognava di poter diventare, da grande, uno scrittore. Sin da piccolo era inoltre affascinato da tutto ciò che concernesse le civiltà antiche, in particolar modo quelle dei Greci e dei Romani. Era già stato a Roma, l'estate precedente, in vacanza con i genitori. Gli erano rimaste impresse le maestosità del Colosseo e del Pantheon, nonché le bellissime statue degli imperatori, custodite nei musei della città. Avrebbe voluto andare presto anche ad Atene, l'altra grande "capitale" dell'antichità, e aveva addirittura già imparato l'alfabeto greco, nell'ottica di questo tanto desiderato viaggio. «Solo se a fine anno non avrai l'insufficienza in matematica!» gli ripeteva continuamente Aristoteles, anche se ormai era decisamente rassegnato al fatto che suo figlio odiasse tutto ciò che avesse a che fare con i numeri. Non era certo un mistero ad Ullapool che Daniel Dyler, nonostante fosse riconosciuto da tutti, insegnanti compresi, come uno dei ragazzi più brillanti del paese, rischiasse ogni anno la bocciatura perché si ostinava a non aprire mai i libri di matematica. La stessa professoressa  della materia in questione, Lilian Forsaidh, non sapeva più come fare con lui. Era testardo, dannatamente testardo e si sarebbe ben meritato di ripetere l'anno, anche solo come punizione per questa sua testardaggine. Ma alla fine ce l'aveva sempre fatta a evitare il peggio. «Ti sei salvato in corner anche sta volta, eh Daniel!» aveva esclamato Vicky quando, l'estate precedente, era entrato in casa saltando e gridando «Promosso, promosso, anche la Forsaidh mi ha promosso!». «Quella buona anima di Lilly!» aveva aggiunto il signor Dyler, alludendo alla pazienza che quella donna aveva sempre mostrato nei confronti di uno studente indisciplinato come suo figlio. Ben conscio delle sue potenzialità e date come erano andate le cose l'anno precedente, Daniel era insomma sicurissimo che la prossima estate avrebbe potuto visitare la tanto amata Grecia e salire sull'Acropoli. «E dopo la maturità... le piramidi!» diceva di tanto in tanto, non smettendo mai di fantasticare sui viaggi futuri. Talvolta si sentiva rispondere «Finirai come Odisseo, caro mio...». Era suo padre, che amava sempre mescolare la saggezza con l'ironia. E se Aristoteles utilizzava molto spesso citazioni letterarie, sua moglie Vicky aveva invece un'altra grande passione, tanto bizzarra per una donna della sua età, quanto evidente e irrefrenabile. Adorava infatti il gioco del calcio ed era una grandissima tifosa dei Glasgow Rangers. La battuta fatta a Daniel in occasione della sua promozione non era quindi affatto casuale! Anche il giovane Dyler apprezzava il pallone e spesso ci giocava con gli amici, in un campo vicinissimo a casa sua, in fondo a Morefield Lane. Non poteva che tifare per i Rangers, visto che era stato ampiamente condizionato sin da piccolo. Diverse volte aveva accompagnato Vicky allo stadio di Glasgow, la città più grande della Scozia, per vedere le partite più importanti, in particolare il derby con il Celtic, che era peraltro la squadra con più sostenitori ad Ullapool. Riguardo ai signori Dyler, nessuno sapeva spiegarsi come potessero stare così bene insieme, pur essendo totalmente diversi. «È proprio vero che gli opposti si attraggono» commentava Daniel, quando pensava ai suoi genitori. Trovava inoltre estremamente buffo che suo padre portasse il nome di un filosofo greco, decisamente inusuale, se non fuori luogo, a Ullapool, ma che gli calzava a pennello, mentre sua madre, che da giovane era stata campionessa di nuoto e che conservava un bel mucchio di medaglie d'oro e d'argento, si chiamasse proprio Victoria. Non credeva troppo nel destino, non era nemmeno religioso, ma riguardo a certe strane coincidenze aveva sempre voluto riflettere e cercare delle spiegazioni, più o meno razionali, cercando di non escludere nulla a priori.

 Di fronte ai Dyler abitava la famiglia Reid, composta da William, di qualche anno più giovane di Aristoteles e di origine irlandese, sua moglie Diana e dal loro figlio Jacob, che aveva la stessa età di Daniel e frequentava la sua stessa scuola. Più che dei vicini di casa erano degli amici. Il signor Reid faceva il macchinista sui treni che partivano da Inverness, uno dei principali centri della Scozia settentrionale, che distava un centinaio di chilometri da Ullapool. Era spesso lontano da casa per lavoro, ma nei weekend liberi e soprattutto d'estate, durante le ferie, si ritrovava sempre con Aristoteles, la sera al pub, oppure per una gita sulla piccola barca da pesca che aveva ereditatato da suo suocero. Diana era nata e cresciuta ad Ullapool e conosceva Vicky sin da quando le due erano delle bambine. Erano sempre andate molto d'accordo e continuavano ad essere delle buone amiche. Ma il legame più grande era senza dubbio quello tra Daniel e Jacob, che erano a tutti gli effetti come due fratelli. 

 L'unico figlio dei Reid era un ragazzo molto timido e riservato, uno di quelli di poche parole. Non aveva montagne di amici, anzi gliene bastava uno, Daniel. Con lui non aveva alcuna paura e non esitava mai, con lui non era affatto un problema attaccare bottone e discutere di qualsiasi cosa, anche delle questioni più personali. Tutti in paese lo chiamavano "Iceboy", sostenendo che i suoi occhi color ghiaccio rispecchiassero appieno la sua personalità. Per Daniel, invece, era semplicemente "Jake". C'era chi interpretava i modi di fare di Jacob non come il frutto della sua timidezza, ma piuttosto come atteggiamenti snob. «Si sente superiore, non parla con noi...» mugugnavano di tanto in tanto Mark e Rob, i compagni di classe che occupavano i banchi dell'ultima fila in fondo a sinistra, proprio alle spalle dei due amici di Moerefield Lane. Daniel, che con loro non aveva un cattivo rapporto, cercava sempre di mediare, cercando di sfatare certi preconcetti sul conto di Jake. Tuttavia sapeva bene qual era la vera ragione del fatto che entrambi non sopportassero il giovane Reid. Quest'ultimo era infatti un fenomeno del nuoto e gara dopo gara, in qualsiasi stile, né Mark, né Rob, che facevano parte della medesima squadra agonistica, erano mai riusciti a batterlo. I due erano molto invidiosi perché le medaglie più prestigiose erano tutte di Jake. Era stata Vicky Dyler a portare Jake per la prima volta in piscina, insieme a Daniel, quando i due erano ancora dei bambini, volendo trasmettere loro quella che era stata la sua prima grande passione sportiva. Daniel non aveva affatto sfondato, anzi, nuotava ancora parecchio male, ma per lui era sempre un piacere accompagnare l'amico ad allenarsi. Inoltre lo seguiva sempre nelle gare ed era il primo ad abbracciarlo dopo ogni vittoria, seguito a ruota da mamma Vicky: «Eh bravo il mio campione!» esclamava lei, dandogli un bacio sulla fronte. 

 A vedere Jake c'erano sempre anche un sacco di ragazzine, che, posizionate in prima fila sugli spalti, non gli staccavano gli occhi di dosso nemmeno un secondo. Era infatti considerato il ragazzo più bello della scuola. Alto circa un metro e ottanta, aveva il classico fisico del nuotatore, con tutti i muscoli ben definiti, che parevano scolpiti nel marmo. Il suo viso era molto fine, i lineamenti molto dolci e la pelle abbastanza chiara, ma non ai livelli di quella di Daniel. Aveva i capelli neri, abbastanza corti e sembre ben pettinati, senza nemmeno un ciuffo fuori posto. I suoi occhi grigi avevano un taglio molto particolare, leggermente a mandorla, che, insieme alle lunghe ciglia, ne faceva oltremodo risaltare la bellezza. Anche le sue fan più accanite sapevano tuttavia che era pressoché impossibile, persino per le più carine di tutta Ullapool, riuscire a farsi notare da Jake. Con le ragazze era infatti ancora più timido e impacciato, tanto che a volte faceva addirittura fatica a salutarle. Dentro di sé era molto felice di vederle, agli allenamenti e alle gare, appostate sulle tribune a fare il tifo per lui, ma sapeva anche che non sarebbe probabilmente mai riuscito a trasmetter loro questa sua felicità. A volte chiedeva a Daniel di ringraziarle da parte sua: «Dillo, ehm, soprattutto a Jessica... che mi ha fatto molto piacere...» precisava, riferendosi a una biondina, di un anno più vecchia di loro, che reputava particolarmente carina e simpatica. 

 Jacob non usciva molto di casa, se non per andare a scuola e in piscina ad allenarsi, anche perché era appassionato di informatica e amava stare ore e ore davanti al suo computer portatile, che i suoi genitori gli avevano regalato per il compleanno, il tredici di febbraio. Era ormai divenuto un esperto navigatore in Internet e aveva costituito un proprio sito, tramite il quale intendeva instaurare amicizie virtuali con ragazzi e ragazze di tutto il mondo. Molti gli scrivevano e passavano i pomeriggi chattando con lui, anche perché in questo modo esercitavano il proprio inglese. Con gli amici del web era molto diverso rispetto che nella realtà, più spigliato e sicuro di sé, aperto e con tanta voglia di parlare e scherzare. Attendeva peraltro con ansia di comprare una videocamera da connettere al computer, per poter instaurare collegamenti video con i suoi corrispondenti. Daniel, che era abbastanza ignorante in materia di informatica, tutte le volte che accedeva al sito di Jake esclamava «Tu sei un genio!». «I genii non esistono Daniel, esistono le passioni e gli appassionati... Ognuno è un genio quando si applica in ciò che lo appassiona. La passione è forse l'unica dote innata!» rispondeva Jake. E poi il discorso, tutte le volte, si dilungava all'inverosimile. 

 Quella mattina di dicembre, Jacob si era alzato molto prima del solito, fremendo d'emozione per il compleanno del suo migliore amico. Era forse l'unico a sentire l'evento tanto quanto Daniel. Si era preciptato a casa dei Dyler e aveva fatto colazione insieme a Vicky, mentre al piano di sopra il festeggiato ancora dormiva. Aristoteles, invece, si trovava già alla biblioteca. Erano da poco passate le otto e mezza e Jake, salite le scale, bussò alla porta della stanza dell'amico. In uno zainetto nascondeva il suo regalo di compleanno, un vecchio libro scritto in greco, proveniente da Atene, che aveva comprato qualche settimana prima a Londra, in un mercato di oggetti d’antiquariato. Non sapeva cosa contenesse di preciso, perché non conosceva quell'alfabeto. Il commerciante che glielo aveva venduto, lo aveva spacciato per un libro di poesia, specificando «Questo libro è magico, caro ragazzo. Lo devi regalare a una persona a cui vuoi molto bene. Leggere queste poesie conferisce dei misteriosi poteri... Così mi hanno detto i mercanti di Rodi, che lo comprarono a Creta da mercanti che l'avevano comprato ad Atene...». Pur interpretando queste parole come le classiche balle di un venditore intento a spacciare per oro l'ottone della propria merce, ne era rimasto in qualche modo colpito e aveva deciso che quel libro sarebbe stato il regalo di compleanno di Daniel. Sapeva che, al di là della presunta magia, una vecchia raccolta di poesie greche gli sarebbe piaciuta molto. «Magari un giorno poi le tradurrà o vi trarrà ispirazione per scrivere lui stesso delle poesie...» aveva pensato «...forse è proprio questo il misterioso potere, l'ispirazione...». 

(M.T.)

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